Una democrazia Condizionata
Non c’è democrazia senza consapevolezza. In una “democrazia” dove chi vota da il proprio consenso a forze contrarie al proprio interesse c’è qualcosa che non quadra.
Se manca la consapevolezza, chi vota non è una persona libera ma condizionata, dunque non possiamo parlare di “democrazia”, dobbiamo parlare di “democrazia condizionata”. Chi governa il mondo, a proprio vantaggio, lo fa manipolando la mente delle persone allo scopo di mantenerle nell’inconsapevolezza.
Se vogliamo che ci sia un reale cambiamento è necessario un decondizionamento un “risveglio” al quale tutti siamo chiamati. A tal fine è necessario stabilire degli obiettivi chiari e semplici, attorno ai quali creare consenso. Non si può pretendere o aspettare che tutti diventino dei filosofi, o degli economisti o altro. Si deve dunque distinguere tra la responsabilità delle persone comuni da quello che è un compito delegato agli esperti. Se ho mal di pancia non mi iscrivo alla facoltà di medicina, vado dal medico e mi aspetto che sia in grado di darmi una soluzione. Allo stesso modo devo avere chiaro in quale mondo voglio vivere, dopo di che do il mio consenso a chi ha le competenze e si impegna a realizzarlo.
Se ci guardiamo attorno possiamo vedere che le conseguenze di una società competitiva sono devastanti: la competizione costa cara, ogni anno si spendono migliaia di miliardi solo per le armi
e crea effetti collaterali inaccettabili. Basti pensare alla devastazione ambientale e all’inquinamento. E tutto il resto? E l’ansia? L’insicurezza? Finché saremo schierati l’uno contro l’altro, ipnotizzati dalla paura, resteremo ancorati alla preistoria e se non ci sarà pace, non ci sarà bene per nessuno. Ne vale la pena? E chi ci guadagna? Se cerchiamo di vedere un po’ oltre le apparenze possiamo vedere che non ci guadagna nessuno. Anche coloro che, stupidamente, pensano di guadagnarci, ci lasceranno le penne.
L’obiettivo comune su cui convergere deve essere, dunque, la trasformazione di un sistema sociale basato essenzialmente sulla competizione in una comunità basta sulla solidarietà. Una volta definita la direzione tutto il resto deve essere funzionale a tale scopo. Non si pretende il “tutto subito” ma si pretende che ci sia, da subito, una svolta e che tutto vada in una nuova direzione. Questi tre punti rappresentano una base di partenza sui quali possiamo riflettere.
- La distribuzione delle risorse deve avvenire in modo equo.
- I bisogni sono un diritto e hanno la priorità rispetto ai desideri.
- La libertà di essere è più importante della libertà di avere.
La terra è in grado di rispondere ai bisogni di tutti i suoi abitanti? C’è abbastanza cibo per tutti? Possiamo costruire le abitazioni, le strutture e i servizi necessari per il bene comune, per la salute, la cultura, il benessere e la tranquillità di tutte le persone?
Esiste una differenza fondamentale tra bisogni e desideri. Potremmo anche aggiungere che non c’è una linea precisa di confine tra bisogni e desideri e che l’allargamento dell’area di confine fa parte dell’evoluzione della società nel suo insieme, i bisogni di un uomo del terzo millennio non sono gli stessi di mille anni fa.
Una volta che i bisogni fondamentali sono garantiti per tutti, globalmente, si dovrà trovare un modo che permetta ad ognuno di creare per se la condizione che ritiene coerente ai suoi obiettivi e alle sue esigenze personali. Questa apertura, è una dimensione importante al fine di favorire la creatività, l’evoluzione e il progresso. Tuttavia è indispensabile chiarire che i bisogni fondamentali, indispensabili a una vita dignitosa, hanno la precedenza e devono essere garantiti per tutti, globalmente.
Possiamo dire che la libertà è sacra e in nome di tale “sacralità” giustificare ampi margini di disuguaglianza, fino ad ignorarne le conseguenze?
Guardiamoci intorno, non credo sia difficile vedere che stiamo vivendo in una gabbia. Che mondo è questo in cui viviamo? È un mondo libero se qualcuno deve girare protetto da guardie armate? Se per prendere un aereo devo arrivare due ore prima e superare vari controlli e sbarramenti? Se gli stati stessi si devono proteggere l’un altro con armi sempre più potenti e uno spreco enorme di energie? A che servono gli eserciti e le forze dell’ordine e la polizia e gli agenti segreti?
Non sono forse la prova concreta che il mondo è governato dall’ignoranza?
La parola “felicità”
La parola “felicità” sembra avere un senso diverso, e forse ce l’ha, per tutti coloro che la usano. Spesso si sente dire che tutte le persone vogliono la stessa cosa: essere felici. Ma se provassimo ad approfondire, potremmo scoprire che tutti vogliono essere felici ma non tutti vogliono la stessa cosa e se consideriamo che la “felicità” è lo scopo della vita, si può capire quanto sia urgente fare un po’ di chiarezza. Per “chiarezza” non intendo una definizione in grado di mettere tutti d’accordo, intendo definire uno spazio che permetta ad ognuno di chiarire a se stesso, per se stesso, il significato della parola “felicità” e trovare una via per realizzarla senza entrare in conflitto. Ciò che m’interessa evidenziare è che opinioni diverse sulla felicità, non sono di per sé un problema. Il problema sorge quando si entra in collisione, in contrasto; con gli altri, con l’ambiente, e persino con se stessi. Ci chiediamo allora: è possibile trovare un equilibrio che non ci metta gli uni contro gli altri o, meglio ancora, creare condizioni che favoriscano un reciproco contributo alla realizzazione personale e allo sviluppo della società nel suo insieme? Non c’è nulla che lo impedisca: nulla ci impedisce di creare un mondo dove vivere in pace e in armonia. Nulla se non noi stessi.
Nel tentativo di capirci, potremmo dividere la parola “felicità” in 4 parti.
– La prima parte definisce il benessere fisico.
– La seconda concerne la felicità che deriva dal dare felicità agli altri, e dalla capacità, personale e collettiva, di creare relazioni armoniose.
– La terza corrisponde al piacere che deriva dalla realizzazione dei desideri.
– La quarta, è la pace interiore, la liberazione dai condizionamenti.
È evidente che non esiste una separazione tra queste quattro condizioni e nessuna esclude le altre. C’è tuttavia una differenza tra le prime tre e la quarta. Le prime tre appartengono a quella che possiamo definire “felicità relativa” in quanto sono “relative” a determinate condizioni, ed è di queste condizioni che qui si vorrebbe parlare. Benché, a mio parere, la quarta via sia la più importante e quella che maggiormente ci aiuta a capire chi siamo e a manifestare in noi il senso profondo della vita, non è, e non vuole essere, l’argomento di questo testo. L’ambiente culturale in cui viviamo, le condizioni sociali ed economiche, sono orientate nel loro insieme verso un baratro di cui pochi sembrano rendersene conto. E anche questi pochi, se qualcosa non cambia, sono destinati più alla frustrazione che deriva dal senso di impotenza, che alla trascendenza. Se tutte le religioni sembrano indicare una via verso la trascendenza, è anche vero che nella società attuale questo “nobile traguardo” non raccoglie molti consensi e spesso, anche nelle religioni istituzionali, viene vissuto in modo tale che ha ben poco a che fare con una spiritualità motivata e consapevole. Detto questo, restiamo nell’immanente e parliamo, dunque, di quelle condizioni sociali che sono un diritto per chiunque nasca su questa terra e un dovere per chi la governa. Condizioni che, se non ci possono liberare da tutte le sofferenze, possono generare quel salto evolutivo che ci libera da tutte quelle sofferenze inutili, non necessarie, che nascono dall’ingiustizia, dalla diseguaglianza, dall’indifferenza, dalla superficialità. Basterebbe pensare alla burocrazia, alle inutili frontiere e barriere che ingabbiano la terra, arsenali pieni di armi micidiali, inquinamento, devastazioni ambientali, migrazioni di popoli trattati come bestie. Bene, tutto questo non è obbligatorio, non è un destino avverso inevitabile. È solo frutto di un “malinteso”, un’interpretazione errata della parola felicità, un mal intendere generalizzato che porta l’umanità fuori rotta, verso il disastro totale.
Sul primo punto, sul fatto che tutti aspirano al benessere fisico e ad essere in buona salute, non credo ci siano dubbi, e possiamo dire che non si tratta di un desiderio ma di una necessità primaria. Pertanto la società dovrebbe essere organizzata in modo da garantire il benessere e la salute di tutti i suoi componenti, e “tutti” non ammette eccezioni. Una responsabilità primaria di chi governa un paese e del sistema sociale nel suo insieme.
La seconda condizione, la felicità che deriva dal dare felicità agli altri e creare relazioni armoniose, riguarda in gran parte la sfera personale, ma può e deve essere favorita da un ambiente etico, culturalmente maturo e appropriato.
La terza condizione, la realizzazione dei desideri, presenta elementi complessi e richiede un approfondimento. Si dice spesso che “tutti gli esseri umani sono uguali” ma nella realtà, a ben vedere, sono tutti diversi e incredibilmente complicati. Hanno tuttavia gli stessi diritti e rispettare i diritti significa anche rispettare la diversità.
Questa diversità, tra gli esseri umani, si manifesta in modo particolare tramite il manifestarsi dei loro desideri, anche se questi desideri sono spesso condizionati, ma questo aspetto, distinguere i bisogni dai desideri, le loro priorità e trovare tra di essi un giusto equilibrio, potrebbe essere il tema di un prossimo testo.
Bisogni e desideri
Collegandomi al testo pubblicato sul numero precedente e relativo alla parola “felicità”, vorrei fare una distinzione tra bisogni e desideri. Una distinzione necessaria poiché ci aiuta a comprendere e a prevenire i conflitti.
Per realizzare una società dove si possa vivere in pace è basilare che la soddisfazione dei bisogni fondamentali sia considerata un diritto per tutti, senza eccezioni. Pertanto è indispensabile distinguere tra desideri che corrispondono a dei bisogni ed altri che non sembrano essere utili né indispensabili alla vita, e la loro unica funzione è quella di procurare uno stato di “piacere”, sottolineando che “piacere” e “felicità” non sono sinonimi.
Si potrebbero inoltre aggiungere desideri che non sono salutari, tenendo presente che la “percezione” di cosa sia salutare e cosa non sia salutare è soggettiva. È la saggezza che ci aiuta a capire cosa è salutare e cosa no, purtroppo la saggezza non si può imporre per decreto e nemmeno regalare. Si possono tuttavia creare le condizioni per agevolarne lo sviluppo, e una società sana dovrebbe essere il luogo ideale per favorire la crescita culturale ed etica dei suoi componenti.
Nel frattempo è indispensabile trovare un equilibrio tra libertà di “inseguire” i propri desideri e il rispetto dei diritti altrui che corrispondono ai bisogni fondamentali. Ci sono dunque dei “desideri” prioritari legati a bisogni fondamentali per l’esistenza che, come si è detto, sono un diritto per tutti, senza eccezioni. Assicurare questa condizione a tutti gli abitanti del pianeta è una priorità assoluta per chi governa il mondo, e non per una falsa percezione dell’altruismo, ma per il bene comune della razza umana.
Solo se la realizzazione dei bisogni fondamentali è rispettata per tutti, indistintamente, si apre il diritto ai desideri come fonte di piacere.
Oltre ai bisogni materiali, come cibo, casa, salute… esistono desideri (ma potremmo chiamarli “aspirazioni”) che pur non essendo indispensabili per la sopravvivenza, sono indispensabili per l’esistenza, in quanto danno senso e profondità alla vita, all’essere qui in questo mondo. Credo valga la pena sottolineare che queste “aspirazioni” più sono grandi meno costano, quindi non sono a carico della società. Mi riferisco al bisogno di conoscere se stessi e il mondo. Questi bisogni sono percepiti in modo diverso dagli esseri umani, anzi nella maggioranza dei casi non sono percepiti per nulla, tuttavia la loro realizzazione porta sia direttamente che indirettamente un enorme beneficio all’umanità intera.
Ci sono inoltre dei desideri, e non sono pochi, che creano notevoli danni collaterali a chi li persegue; ma possiamo regolamentare questo tipo di auto flagellamento? E fino a che punto? Potremmo tranquillamente affermare che molti desideri, in questa società dei consumi, sono indotti e frutto dell’illusione, pertanto sarebbero tutti da catalogare come “non salutari”. Ognuno, tuttavia, ha il diritto di scegliere il suo percorso, l’unico limite è non invadere i diritti altrui, ed è questo il punto che deve essere chiarito, giacché è qui che nascono i conflitti.
La distribuzione delle risorse non può prescindere dal diritto alla vita, senza eccezioni. E bisogna qui sottolineare che tra i diritti fondamentali, c’è il diritto di respirare aria pulita e mangiare cibi sani. Non c’è nessuna giustificazione per l’inquinamento, nessun desiderio ha diritto di essere soddisfatto se il prezzo da pagare è l’inquinamento dell’ambiente. Se qualcuno pensa che lo scopo della vita sia il piacere che deriva dai sensi, è libero di pensarlo, ma non è libero di perseguirlo senza limiti, a scapito dei diritti altrui.
Non è un caso se questa società, dove la ricerca del piacere fine a se stesso è al primo posto, è fallimentare. È probabile che un giorno vivremo in un mondo senza regole, perché non ce ne sarà bisogno, ma non sarà domani. Nel frattempo ci dobbiamo proteggere, tutelare da quella che è la vera causa delle disgrazie umane: l’ignoranza.
È l’ignoranza che, in nome di una falsa interpretazione della parola libertà, permette a pochi di possedere in abbondanza cose inutili a scapito di molti che vengono privati di ciò che è indispensabile.Questa frase di Eckhart Tolle, “Se le strutture della mente umana rimangono immutate, finiremo sempre per ricreare lo stesso mondo” ci suggerisce che è necessario lavorare parallelamente su due fronti; quello esterno, tramite le riforme, e quello interno: il risveglio della consapevolezza.
Storia di una capra
Competizione e desideri
Riprendendo il discorso pubblicato sul numero precedente, possiamo dire che i desideri di ciascun essere umano, a differenza dei bisogni, sono in competizione fra loro poiché i desideri sono illimitati mentre le risorse sono, per natura, limitate. E in assenza di regole, o della saggezza necessaria al mantenimento di un equilibrio, la competizione crea conflitti, sopraffazione, ingiustizia, sofferenza.
Immaginiamo 10 persone isolate dal mondo, che per vivere necessitano di bere un bicchiere di latte al giorno. Se esiste in quel luogo una sola capra in grado di produrre ogni giorno 10 bicchieri di latte, potremmo concludere che “tutto va bene” e che l’unica preoccupazione di quelle 10 persone dovrebbe essere la buona salute della capra.
È immaginabile che in una simile situazione nasca, tra i componenti del gruppo, un conflitto, o è più ragionevole pensare che sorga una forte collaborazione per la salvaguardia del bene comune, la capra?
Se restiamo ai bisogni non è ipotizzabile nessun conflitto, ma se si entra nel campo dei desideri, il conflitto è inevitabile. Cosa si può fare con una capra? Se il latte è buono e mi piace, perché dovrei limitarmi a un solo bicchiere?
Se si entra nel campo dei desideri può succedere di tutto, può succedere persino che qualcuno si mangia la capra. Questa storia può sembrare assurda, ma guardatevi attorno e vedrete che è quello che è sempre accaduto e sta accadendo in questo mondo. Ci stiamo mangiando capra e cavoli senza il minimo sospetto che presto, se continuiamo così, ci lasceremo tutti le penne.
Una volta capito che il punto critico è inerente non ai bisogni, ma ai desideri, è su questo che bisogna lavorare per trovare un equilibrio. Non possiamo mettere dei limiti troppo stretti ai desideri, anche quando non sembrano avere alcuna utilità particolare o addirittura contengono elementi nocivi, ad esempio nei casi dell’alcool, del tabacco e delle sostanze stupefacenti. Non possiamo perché ci sono dei diritti da rispettare, uno spazio libero, personale, che deve essere salvaguardato, allo stesso tempo non si può lasciare una libertà assoluta, in quanto le “esigenze” di qualcuno potrebbero allargarsi fino al punto di togliere spazio agli altri, fino al caso estremo di un solo individuo che si appropria di tutte le risorse della terra. Questa evenienza può sembrare assurda, ma nella realtà è esattamente quello che succede. Nel mondo attuale, una strettissima minoranza di persone possiede una percentuale altissima delle risorse dell’intero pianeta, senza per altro averne in cambio un adeguato vantaggio.
La parola “libertà”, come la parola “felicità”, è densa di significati che bisognerebbe qui approfondire, ma per il momento mi fermo; potrebbe essere l’argomento di un prossimo testo.
In uno studio approfondito, Richard Easterlin, professore di economia all’Università della California meridionale e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze, dimostra che aumentando il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino a un certo punto, ma poi comincia a diminuire.
Dobbiamo però aggiungere che se la ricchezza non genera una proporzionale condizione di felicità, la mancanza di risorse genera proporzionale difficoltà e malessere. È sensato dunque un arricchimento oltre una certa soglia, se questo non genera una soddisfazione proporzionale, comportando magari anche disagi ad altre persone? In ogni caso, nulla può giustificare il fatto che esista una persona, anche una sola, che muore di fame a questo mondo, giacché la terra è in grado di soddisfare i bisogni di tutti i suoi abitanti, o meglio lo sarebbe se non fosse che qualcuno si accaparra più di quello che gli serve e che il sistema sociale da lui stesso creato gli permette di farlo. Inoltre niente può giustificare l’inquinamento e il degrado ambientale.
Ecco dunque che è indispensabile un cambiamento: la disponibilità di quanto serve a soddisfare i bisogni primari e la salvaguardia di tali risorse, deve essere a carico della società e non dei singoli individui. Questa condizione non è limitata al benessere di qualcuno, ma si riversa sulla società nel suo insieme. Forse non tutti sono in grado di comprendere e accettare queste conclusioni, alcuni preferiscono mangiarsi la capra, ma glielo possiamo permettere? Viviamo in un regime democratico e la maggioranza decide.
E, “la maggioranza decide”, implica una responsabilità di cui ognuno deve farsi carico e protagonista.