La pubblicazione di questo libro risale al 1977, presso la casa editrice GEIGER, Mulino di Bazzano Parma
Dalla introduzione di Giulia Niccolai
“Il lettore di questo libro si renderà conto già dal titolo Mi faranno santo che l’ “io”, la prima persona presente in quasi tutte le poesie, è in realtà una controfigura, una spalla. Questa prima persona che bestemmia maledice ricorda e racconta sembra tenere un diario delle proprie inspiegabili e incomprensibili emozioni, “parla” a volte come un cantautore, ha momenti di folgorante esaltazione contrapposti ad altri in cui si sente l’essere più beffato del e dal mondo; insomma questo io “vagotonico” cerca continuamente di farsi notare, di accentrare su di sé l’attenzione del pubblico, e finisce per ottenere l’effetto contrario, quello cioè di dar lustro al primo attore – in questo caso il poeta – sempre presente sulla scena ma silenzioso e volutamente in disparte. Non sono certo la semplicità e l’elementarità del linguaggio di Immovilli (linguaggio che erroneamente si potrebbe definire “spontaneo”) a produrre questo sfasamento interno alle poesie, che è invece ottenuto per interposta persona, da un io tanto meticoloso quanto fabulante.
Salgo verso sera sulle colline con la
mia moto e già arrivato spengo
il motore se spaventa grilli e cavallette
in mezzo all’erba.
Lassù si vede: anche i corvi
che girano in agguato sul grano,
ma non è maturo e ancora le sue foglie
hanno tempo per accarezzarsi.
Il verde dei pini è il più strano,
e i fagiani s’affogano dentro la macchia
dove le tortore s’innamorano piano.
Con tutto il tempo che hanno
non ci pensano loro alla fretta.
Oppure sono io qui, solo
seduto sulla mia lambretta.
E mi viene in mente il mare e chi
lo guarda dall’alto
e ci vede chissà cosa.
Il mare abruzzese quando scesi da Chieti
mangiando uva, a Francavilla dove cento
lire mi bastarono un giorno.
Oppure Lerici (e forse non era Lerici)
in un gennaio, una giornata ventosa
quando tu mi fotografasti.
Il mare, tutto questo per dire il mare.
Ci sono campi di grano in Abruzzo
e lungo i binari fontane d’acqua sorgiva.
Non so quale senso dare a questo
ricordarmi di te e dei tuoi tramonti
e dell’upim dove entrammo a comprare.
Ci sono sempre tramonti in Abruzzo
nel punto più alto di una città
dove c’e un castello, una chiesa,
una piazza, una fontana.
Arrivati a Venezia di corsa. Due panini
e una birra seduti sul molo. Visto passando
il ponte dei sospiri e l’acqua sporca, in piazza
San Marco concentrazione : la basilica, i
colombi violini in smoking, maestro e
tutto compreso nella consumazione.
Spedite cartoline : il canal grande in un giorno
di sole, il palazzo dei dogi, il rio dei mendicanti
dove abbiamo appreso che Venezia muore
alla velocità di nove centimetri
al secolo. Poi Murano a brillare specchi
in lontananza, e a ritrarre
ritratti come a Parigi sulla Senna.
Ritorno veloce in vaporetto con le dita
a segnare le gondole.
Questa depressione è un diverso stato
emozionale e mi chiedo se è
misurabile. Guardo fuori dai finestrini
e potrei bere qualcosa e potrebbe
essere estate. Così faccio una poesia,
una poesia che mi faccia : si salgono
stradine che sbucano in una piazza
e mentre cerco di indovinarti dimentico
di leggere il giornale.
Questa si chiama abulìa e non fa
molta differenza se me ne ricordo
in treno per fare un’altra poesia.